SI PUO’ FARE

di | 24/10/2021

Matteo Salandri ci racconta del surf

Ben ritrovati lettori di SI Può FARE! Oggi abbiamo incontrato per voi Matteo Salandri, classe 1988, socio dell’UICI di Roma e membro del Comitato mobilità. 

F: Amante dello sport, tante le discipline con le quali ti sei cimentato nei tuoi trentatrè  anni di vita, raccontaci.

M: Ho iniziato da bambino con il nuoto perché è uno sport completo e soprattutto perché non potevo permettermi di ricevere pallonate al volto. Con gli anni il nuoto mi ha annoiato e, dopo averla scoperta guardando Sidney 2000, mi sono innamorato dell’atletica.

Dopo aver trovato un posto dove potermi allenare con costanza, ho iniziato con l’atletica leggera. Mi recavo in palestra anche sei volte a settimana; ho disputato gare nei 100 metri, 200 metri, 400 metri e 800 metri prima con normodotati e poi in contesto paraolimpico guadagnando importanti titoli italiani e nel 2009 ho preso parte ad un campionato europeo. Serbo un ottimo ricordo della mia carriera in atletica leggera, ma ad un certo punto ho dovuto smettere.

Successivamente mi sono avvicinato al baseball per ciechi; non avevo mai preso parte ad uno sport di squadra e lo spirito di solidarietà che si instaura tra i giocatori mi ha affascinato. Alcuni anni fa ho scoperto la mia passione: il surf d’onda che pratico attualmente.   

F: Complimenti! Dai tuoi racconti si evince una forte caparbietà: nonostante tu abbia una malattia degenerativa che ti ha portato a percepire soltanto luci ed ombre, sei riuscito ad abbattere tutti gli ostacoli che ti si sono presentati dinnanzi durante il tuo cammino.

M: Mi piace dare il meglio in ciò che faccio, e non solo in ambito sportivo. Naturalmente sono stato sempre supportato da persone meravigliose. Spesso mi è stato chiesto come facesse una persona con problemi di vista a correre; in atletica non ero solo, mi affiancava un atleta vedente al quale ero collegato per mezzo di un cordino.

F: Ma parliamo del surf. Sei il primo ragazzo con problemi di vista che vi si misura; com’è nata questa passione?

M: L’ho scoperto casualmente circa tre anni fa; scorrendo le notizie su Facebook, ho letto che una ragazza cercava persone con problemi di vista che avessero avuto voglia di provare il surf. All’epoca esisteva una squadra di surfer in carrozzina, l’intenzione era quella di crearne anche una di surfer non vedenti. Ho accettato la sfida: mi sono recato a Fuerteventura dove ho preso parte ad un camp insieme ai disabili motori ed ho surfato con loro, io in piedi e loro da sdraiati. È stato un colpo di fulmine.

F: Riesci a surfare allo stesso modo dei tuoi colleghi atleti normodotati o usi qualche accorgimento particolare tipo riferimenti sonori?

M: Sì, l’unico e imprescindibile accorgimento riferimento sonoro umano è un surfer, con tanto di tavola, al tuo fianco: fondamentali sono le sue indicazioni vocali per capire quando è il momento di remare e quando quello in cui sta arrivando l’onda.

F: Anche nel surf hai portato a casa ottimi risultati come il recente secondo posto di Bristol, raccontaci quest’esperienza.

M: A Tokio il surf d’onda è divenuta disciplina olimpica, paraolimpica non lo è ancora, ma si sta spingendo affinché lo diventi. Nonostante ciò ho preso parte ad un paio di competizioni, in Spagna ed in Gran Bretagna; a Bristol la gara si è svolta in una wave pool, ovvero una enorme piscina dove vengono generate onde fino a due metri di altezza. È stata un’esperienza molto particolare, interessantissima sul piano tecnologico, ma il mare è migliore. Il vantaggio di un contesto simile è la presenza costante di onde, mentre, in particolare nei mari italiani, non ci sono onde quotidianamente benché quando sopraggiungano sono discretamente buone per allenarsi.

F: Quindi la pandemia non ti ha bloccato, sei riuscito ad allenarti con costanza?

M: Sì, l’allenamento a terra non l’ho mai smesso. Requisito indispensabile per un surfer è la flessibilità e la forza muscolare: in palestra faccio molto stretching, trazioni, addominali, squat, perché una buona base atletica è indispensabile per surfare. 

F: Oltre che nello sport hai raggiunto importanti risultati anche nello studio con la laurea in giurisprudenza e due master. Lavori e vivi solo. hai qualche consiglio da dare ai nostri lettori?

M: Ho studiato legge, ma il mio obiettivo non è mai stato quello di diventare avvocato, preferendo lavorare nel mondo dei trasporti. Per questo dopo aver conseguito  la laurea in giurisprudenza mi sono iscritto ad un master in tale settore grazie al quale sono stato assunto in FS ( Ferrovie dello Stato), azienda nella quale lavoro anche attualmente e la mia mansione è molto interessante.

Il consiglio che mi sento di dare è trovare una passione e tentare di tramutarla in un lavoro: io avevo la passione per i trasporti e quindi non ho mai faticato a studiare e tenermi aggiornato su tale argomento. 

F: Sei sempre accompagnato dalla tua cagnolina guida. Spiegaci la scelta del cane guida.

M: Lashy è la mia seconda cane guida. A parer mio è indispensabile saper utilizzare sia il bastone bianco che il cane guida. Con quest’ultimo però sento di avere un passo più fluido e veloce, mi dà più sicurezza. Di contro il cane essendo un essere vivente ha bisogno di cure, perciò si deve esser pronti a sacrificare un po’ di sé stessi. Se si è pronti a fare ciò, il cane guida è un’ottima soluzione.

F: Fai surfare anche lei?

M: Tu scherzi, ma una volta l’ho messa sulla tavola, ma non ha resistito, ha preferito tuffarsi in mare e nuotare. 

F: Immagino, i labrador sono dei bravi nuotatori. Termina così la nostra intervista, ti ringrazio per la disponibilità e ti faccio un grande in bocca al lupo per il futuro!

Di Federica Carbonin

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